infinite quest
by miss dunaway
Ognuno di noi almeno una volta, oppure sistematicamente- non prendetela come una critica- ha lasciato a metà un libro troppo verboso, ha saltato a piè pari lunghi apparati di note, viste come acerrime nemiche della scorrevolezza di un buon romanzo, oppure parti consistenti- solitamente descrittive- o addirittura interi capitoli. Se per vostra disgrazia vorrete accingervi a leggere Infinite Jest, sappiate che dal momento in cui leggerete le prime righe non riuscirete più a far nulla di tutto ciò e un sottile e strisciante disagio si impossesserà di voi. Disagio che si tramuterà in vero panico quando vi accorgerete che non vorrete più ignorare con disinvoltura nemmeno una parola, persino nel bel mezzo di una disamina sulle tecniche di ottica avanzata o sui livelli di assuefazione di impronunciabili medicinali.
E quando vi sarà chiaro che il conglomerato mondo in cui Wallace vi ha catapultato vortica cieco e brulicante attorno alla Dipendenza come uno sciame di falene attorno a un riflettore su un campo da tennis a mezzanotte, guarderete il libro da 1,3 kg che vi portate nella borsa da quasi due settimane e capirete che Ci Siete Cascati (certo ai più svegli sarebbero bastate le prime avvisaglie di un fastidioso indolenzimento alla spalla).
Difficile non usare l'ironia nel parlare di questo romanzo davvero esilarante. Impossibile non usarla come nostra unica difesa, da indossare come un velo bianco davanti al volto che ci permetta di osservare e di muoverci tra le pagine senza che ciò che si agita tra le righe possa guardarci negli occhi e trascinarci nell'immensa desolazione in agguato dietro ogni risata.
Perché questo è un libro dolorosamente triste e consapevole, costantemente sull'orlo di un'implosione scongiurata quasi miracolosamente dall'irriverente, grottesco e necessario umorismo di Wallace, che proietta il suo scherzo infinito sullo sfondo di un'America ormai totalmente assoggettata alle regole della Pubblicità e dell'Intrattenimento, guidata da un presidente-ex cantante di cabaret ossessivo-compulsivo e maniaco dell'igiene, minacciata quotidianamente dal terrorismo separatista Québequiano che vorrebbe evitare al Canada la triste sorte di diventare l'enorme discarica della Nazione.
In questo futuro inquietantemente plausibile, si intrecciano innumerevoli vite scandite da eventi estremi, improbabili e a volte surreali, che hanno però tutti una cosa in comune: la Dipendenza.
Alcool, droghe, medicinali, perversioni sessuali, agonismo sfrenato, giochi pericolosi, deformità morbose s'insinuano, poi si sovrappongono e si accavallano sulla scena senza però riuscire a relegare sullo sfondo la dolorosa esistenza dei personaggi. Ed essa poco a poco prende la parola suggerendoci che, anche se non siamo in grado di identificarci con tutta quella devastazione, possiamo provare a sospendere il giudizio, almeno finché non ci renderemo conto che le nostre vite non sono poi così diverse da quelle sulla pagina e il distacco lascerà posto alla compassione.
E i nostri parametri per giudicare le scelte cambieranno, non saranno più né giuste né sbagliate, perché avremo capito che le azioni di ognuno tendono sempre allo stesso fine: l'infinita ricerca della Via di Fuga.
E chiudendo il libro dopo l'ultima pagina saremo tristi anche per noi stessi: un'altra strada è stata battuta e, come ogni altra, si è rivelata un vicolo cieco.
4 commenti:
Plausi e riverenze a Miss Dunaway, as usual...
Prendo atto con rinvigorita curiosità, e continuo a confidare nel paio d'anni di galera che mi consentiranno di metter mano a Wallace e Proust.
proust può attendere
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